giovedì 10 gennaio 2013

Migrazione in corso!

Ho deciso di migrare a wordpress quindi il blog si aggiornerà di là e non più qui.
l'indirizzo nuovo:

http://codepercuriosi.wordpress.com/

martedì 25 dicembre 2012

Il cenone

Due ore e quaranta minuti.
Cosa saranno mai due ore e quaranta minuti per raggiungere la casa di Gabriella e del marito Alfonso, figure a cui sono legato da un grado di parentela non facile da specificare, per il cenone di natale...
«Finalmente, ecco il nostro Renato!» esclama un ciccione sulla cinquantina, a me completamente ignoto. Vieni, che ti faccio appoggiare il cappotto» La casa, sebbene sia dispersa in mezzo a un territorio che ricorda le lande più desolate del “Signore degli Anelli”, è piuttosto accogliente. Per entrare bisogna superare una muta di randagi rabbiosi che attaccano chiunque si avvicini alla magione. Poi si attraversa un cortile realizzato nel classico stile dei vecchi cascinali lombardi e si entra in un grande salone, riscaldato da un camino. Per fortuna c’è il vecchio zio Lino che, a dispetto dell’età, si accorge per tempo -dal rombo dei motori- delle macchine in arrivo e corre in cortile a bloccare le tre gigantesche belve assetate di sangue, che rispondono al nome di Birillo, Berta e Beniamino.
«Vogliono solo giocare!», dice il ciccione chiudendo la porta, mentre fuori il vecchio zio Lino cerca di farsi rispettare dalle tre mostruose creature urlando parole incomprensibili: «Voran! Platz! Fuss!». E’ evidente che le bestie sono state allevate durante il reich e sono immortali.
Diversi ospiti devono ancora arrivare, in mezzo al salone c’è mia madre che sta parlando con una vecchia megera ingioiellata. Me ne ricordo in modo vago, da ragazzino l’ho già vista di sicuro. Meno rugosa di adesso, ma già allora impegnata a recitare il suo ruolo di vecchia zitella di buona famiglia, con i suoi formalismi e l'attenzione alle buone maniere. Sulla sua identità, buio completo. La megera mi osserva. Mia madre mi saluta. La megera finge stupore, dice «Ma è tuo figlio? Oh, signore Gesu, ma che bel giovanotto sei diventato! E che alto, mi raccomando non crescere più!».
No signora, ho trentadue anni, senza dubbio non cresco più.
«Te la ricordi la zia Paola, vero Renato?» interviene mia madre. Senza dubbio mia madre non ha fatto apposta ma il suo intervento è risolutore: ora so che questa cariatide risponde al nome di Paola. Non che me ne importi qualcosa, ma almeno evito figuracce. “Eh la zia Paola, come no».
«Fatti salutare bene», prosegue la vecchia, avvicinandosi e porgendo la guancia. Ma cazzo! Mi tocca pure baciare questa mummia, che sembra essersi rovesciata in testa una boccetta intera di profumo dolciastro e ributtante. Mentre mia madre inizia a raccontare la storia della mia vita mi allontano più in fretta che posso. «E’ stato in Inghilterra cinque anni» sta dicendo lei. Arrivato in cucina vedo zia Elsa impegnata nel dirigere i preparativi. Scandisce i tempi come un direttore d’orchestra, tre donne eseguono velocemente i suoi ordini. Il profumo del porro che soffrigge insieme a cipolle e carote domina vicino all’ingresso. Pochi passi più in là viene sovrastato dall’aroma di un brasato che da diverse ore sobbolle sul fornello. Mia cugina Maria si appresta a qualche operazione di sicuro interessante, con una bottiglia di Barolo. Probabilmente preparerà il sugo per la carne. In fondo alla cucina  trovo mio padre che al suo solito sta divorando un salame mentre trova giustificazioni improbabili per la sua stessa condotta vorace. «...no perchè quest’anno ha piovuto parecchio e l’alimentazione stessa dei suini ne ha risentito, le ghiande erano molto più acquose e le carni infatti, dagli insaccati alle parti di consumo più immediato, hanno una consistenza e un valore calorico completamente diverso». Il suo interlocutore avrà superato il secolo di vita, capisce l’Italiano ma non lo parla.
«L’è no bon?*», chiede, seduto su una sedia di legno, con il mento appoggiato al suo bastone da passeggio. «Certo che è buono, ma è leggero. Mangiare un salame di questi equivale a due fette di un salame normale»
«Aah!» annuisce il vecchio, che viene interrotto dallo zio Michele. “Nonno, lascia stare Fernando, non dargli fastidio e stai bravo lì seduto»
«Ma va a dà via il cü**!», impreca il vecchio, mentre il babbo lo giustifica dicendo «Michele figurati non mi dà nessun fastidio, ho solo pensato volesse assaggiare un po’ di salame, per questo ne stavo affettando uno»
Torno in sala appena in tempo per assistere a un’invasione di stampo barbarico, quattro bambinetti sui sei sette anni che spuntano correndo da una camera e distruggono qualsiasi cosa intralci il loro cammino, inseguiti senza successo da giovani madri fintamente disperate, tra cui la cugina Lidia e la cugina Francesca. Quest’ultima è orribile. Mi stupisce che abbia trovato un disgraziato che l’ha sposata. Insieme hanno concepito un pestifero mostriciattolo albino che mentre corre grida come un pazzo imitando la sirena di un’ambulanza.
«EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEeeeeeeeeeeeeeeeEEEEEEEEEEEEEEEEeeeee»
«Kevin smettila immediatamente», grida la madre. Kevin. Cristo che nome, ma io dico, abiti a Vercelli, non a New York, per quale motivo devi chiamare un bambino Kevin?
Mia madre intanto sta parlando con la zia Vittoria.
«Ma che meraviglia!» commenta, osservando la collana indossata dalla zia.
«Angela, non dirlo a nessuno, ma è bigiotteria»
«Veramente? E’ incredibile, sembra vera... Renato, non saluti la zia Vittoria?»
Ecco, mi ha incastrato anche questa volta. «Ciao zia, auguri»
«Auguri, Renato caro, ma che bel ragazzo... ma senti glielo regali un nipotino a tua mamma? Guarda la mia Francesca che mi ha fatto Kevin, quel bambino è la mia gioia»
«Eh zia tu sì che hai tutte le fortune»
Mia madre si sente in dovere di insistere. «Ma davvero, e anche Lidia che ne ha due» Poi abbassa la voce e si guarda attorno con atteggiamento da carboneria «Certo Vittoria, diciamocelo, i due gemellini di Lidia sono proprio bruttini. Il vostro Kevin invece, tutt’altra pasta... si vede che è speciale. Vivace, allegro. Un amore!».
Finalmente fa il suo ingresso Gabriella, che probabilmente è rimasta chiusa in bagno a prepararsi per tre giorni, se si esclude una pausa dal parrucchiere nel pomeriggio. Mia madre sussurra a Vittoria «Guarda che mancanza di gusto, entra come una vamp dopo che gli ospiti sono arrivati, senza nemmeno averli ricevuti»
Vittoria dice «Ah, sì. E poi non mi dire che una della sua età sta bene vestita così. Ma hai visto la collana?»
«Sì un doppio giro di perle e murrine, bella eh, ma con tutte quelle rughe sul collo attira proprio l’attenzione nel posto sbagliato. E il vestito?»
«Terribile, un tubino anni settanta, tipico di una che vuol fare la giovane, e lei non se lo può certo permettere»
Dietro a Gabriella il marito Alfonso, trafelato, porta un vassoio con diverse bottiglie di spumante.
Lei gli indica il carrello dove posare il vassoio. «Bene», esordisce «Possiamo iniziare a brindare a questo Santo Natale. Alfonso, vai a chiamare tutti. Michele, versa lo spumante».
Dopo qualche istante siamo tutti riuniti nel salone per il primo brindisi, quando il ciccione che mi ha accolto in casa si porta al centro dell’attenzione. «Alt! no no no no no così non va bene. Manca ancora Gianluca. Non vorremo mica brindare senza Gianluca»
Il nonno di Michele, o almeno credo sia il nonno di Michele, il vecchio che mangiava il salame insomma, si è ormai affezionato a mio padre e gli sta attaccato. «Chi?», domanda.
«Il fratello di Giulio, nonno», risponde mio padre. A quanto pare lo chiamano tutti nonno. «Quello che tartaglia, e prima che morisse sua mamma non tartagliava, pover’uomo»
«Ah, cul tarlüc là? Ma c’al vaia a dà via i ciap***!» replica il nonno appena prima di sgolarsi l’intero bicchiere di spumante in un solo sorso. Qualcuno dice «Ma insomma, se si dice alle otto e mezza bisogna venire alle otto e mezza». Lidia si preoccupa «E se gli fosse successo qualcosa?». Elsa è pragmatica «Sì, si sarà addormentato davanti al televisore oggi pomeriggio».
Poi si apre la porta della casa, e finalmente compare Gianluca, sudato come un maiale. «S-s-s-scusate m m ma m m m m mi mi mi haanno inseguito ic ic i cani p p p p p poi è aa arrivato l-l-lozioLino» si giustifica, sputando in ogni direzione come un irrigatore da giardino. Tutti iniziano a brindare dilungandosi in auguri e inutili salamelecchi. Uno dei vari cugini per qualche ragione trova divertente augurare buone feste a tutti in spagnolo, e ad ogni persona fare una specie di inchino forse ad imitazione di un ballerino di tango o di flamenco. Per fare il giro di tutti i parenti ci impieghiamo un quarto d’ora e quando finalmente riesco a bere lo spumante è diventato caldo.
All’improvviso un urlo agghiacciante, proveniente dalla cucina, gela il sangue dei presenti. Corriamo tutti a vedere cos’è successo. Elsa è svenuta. Gabriella le porge un bicchiere d’acqua mentre si riprende, con Giulio che le sorregge la testa.
«Il brasato... è sparito», riesce a dire Elsa.
Gabriella, inginocchiata accanto a lei alza gli occhi verso gli invitati. «Guardate io non dico niente ma se è uno scherzo è davvero di pessimo gusto»
Zia Paola ipotizza innocentemente «Saranno stati i bambini».
Francesca si sente in dovere di difendere il figlio «Ma perchè dovrebbero essere stati i bambini! E’ comodo parlare dando la colpa a qualcuno, guarda Paola stai zitta perchè se dovessi parlare io ne avrei di cosa da dire, ma ne avrei per così, è ovvio che hai perso lucidità con l’età ma sto zitta che è meglio»
Mia madre sbotta. «Ah questo per te è stare zitta eh? Ma certo, si capisce da dove ha preso tuo figlio Kevin. Kevin, che nome poi...  è normale che Paola pensi ai bambini, visto che il tuo è un ragazzino viziato e diciamocelo, maleducato!»
«Ma sentila!» interviene Vittoria, «Dici così solo perchè io ho un nipote e tu no, tutta invidia la tua!»
«Ah di certo non ho niente da invidiare a una che viene alla cena di Natale con una collana di bigiotteria»
Tutti gli sguardi delle donne si posano sulla collana di Vittoria, mentre questa arrossisce violentemente. Gabriella scuote la testa schifata. «Davvero, che cattivo gusto. Si vede lontano un chilometro che non è vera.»
Vittoria si riprende dallo shock. «Ah parliamo di gusto? Proprio tu che vai in giro conciata come una ragazzina, cosa che anche Angela qui, che fa tanto la moralista, non ha perso tempo a far notare a tutti»

«Sei una vigliacca!»
«E tu sei una troia! O almeno la eri, adesso non ti vuole più nessuno, neanche tuo marito».
Decido di andarmene per conto mio, prima che Gabriella cacci tutti.
Fuori l’aria è fredda. Birillo mi si avvicina scodinzolando, mi fa un po’ di festa. Non sembra neanche più lo stesso cane di prima. In fondo, vicino a una piccola baracca degli attrezzi c’è seduto lo zio Lino, assieme agli altri due cani che stanno finendo di sbafarsi il brasato.
«Avevano proprio fame, povere bestie», dice. «Li ho visti agitati quando è arrivato il tartaglione, meno male che sono andato in cucina e ho visto che avevano preparato un po’ di carne per loro»
«Zio Lino, ma sei sicuro che fosse proprio per loro?»
«Ma sì, Alfonso la carne non la mangia e Gabriella è sempre a dieta. Qui se preparano della carne, le rare volte che lo fanno, è per i cani. Non vedo perchè stavolta non doveva essere così»
«Eh già. Perchè no? Ciao zio Lino, buon Natale»
«Ciao Renato, salutami i tuoi genitori, fagli gli auguri»
«Zio Lino, sono in casa i miei genitori»
«Ah già, sì sì, la mia memoria non è più quella di una volta...»



* Non è buono?
**Ma vai a dare via il culo
***Ah quel babbeo là? Ma che vada a dare via le chiappe

mercoledì 12 dicembre 2012

Scusate, andavo di fretta.





«La prima volta che vidi Elio Gardi capii subito che era uno scrittore, perché intorno a lui si respirava quest'aria da caffè letterario fiorentino di inizio novecento, e non eravamo a Firenze, potevamo essere a Parma, o a Brescia, non ricordo, doveva essere intorno alla metà degli anni novanta, quindi Parma, penso. Ti conquistava con la forma, più che con la sostanza di quello che diceva. Certamente poi c'è tutto quell'insieme di elementi che fanno il discorso, come l'intonazione e il volume della voce, la postura, insomma è chiaro quello di cui parlo.
Immaginatevi un uomo sgradevole nell'aspetto, dalla voce sgraziata e squillante. Bene, uno così può fare solo lo scrittore, per far sì che le sue parole conquistino la gente. Lui no: aveva un'impostazione quasi da attore. Poteva dire un sacco di cazzate e avere comunque il suo pubblico. Poi, intendiamoci, le diceva molto bene». Faccio una pausa. Mi verso dell'acqua, un paio di persone si alzano per uscire a fumare, qualcuno entra.
«Ci reincontrammo anni dopo, e questo sono sicuro di non sbagliarmi avveniva a Pavia, dove prendemmo l'abitudine di trovarci di tanto in tanto al bancone di un locale, a fare chiacchiere. Lui aveva queste strane teorie sui rapporti umani, tra uomini e donne in particolare. Un giorno ricordo che era entrata una ragazza, una certa Veronica, parecchio in ghingheri. Mi disse: “Guarda Veronica”. La osservai, era strano vederla così curata, visto che di solito vestiva in modo piuttosto sciatto. “Hai notato com'è elegante? Dev'essere stata lasciata dal ragazzo, sarei pronto a scommetterci cinquantamila lire. Ma non è questo il punto importante del discorso. Ciò che conta è quello che avverrà tra poco.”
Ora, va precisato che quello era un ambiente in cui almeno di vista ci si conosceva un po' tutti, come spesso accade. “Da quanto tempo non la vedi in giro?”, mi chiese.
Saranno quindici giorni”, risposi.
Infatti”, riprese “avrà attraversato la prima fase dopo la rottura di un rapporto, quel periodo di misandria in cui una donna pensa: basta io con gli uomini ho chiuso. Ora quella fase è evidentemente finita, ma questo è del tutto normale Claudio non fraintendermi non ci sto vedendo nulla di strano fin qui, soltanto desidero che tu mi segua nel discorso fino al punto cruciale ma ti ci voglio accompagnare seguendo un percorso preciso.» A quel punto era entrata nel locale una coppia che entrambi conoscevamo bene. Con lei, Maria Grazia, ero anche uscito per un breve periodo: molto graziosa ma di un'aridità sconcertante. Lui, Marco, alto e taciturno, sempre avvolto nei suoi lunghi cappotti scuri. Elio beveva un qualche liquore americano, non ricordo cosa fosse, ne ordinò uno per lui e un manhattan per me.
Bene, parlavamo di Veronica. La consideri una ragazza facile?”, mi chiese.
Non mi dà quell'impressione, no”.
Benissimo”, si illuminò “non la è, infatti!”.
Per qualche motivo, se la mia affermazione valeva come un parere, la sua era un assunto inconfutabile.
Allora, a parte il carciofo – il ragazzo che l'aveva presumibilmente appena lasciata, uno con uno strano porro vicino a un orecchio – con quali ragazzi te la ricordi?” mi chiese.
Beh, allora, Angelo, il Savona, Ferro, Marcello, poi? Ah sì anche mi pare con Ema, quello di Torino, anche se non era durata molto”, conclusi.
Perfetto, e che cos'hanno in comune tutte queste persone? Te lo dico io: li conosci tutti, anch'io li conosco tutti e tra di loro si conoscono tutti. In pratica si perpetua un orrendo rimescolamento di coppie, tale per cui bene o male le persone che conosci sono uscite quasi tutte insieme, a turno. Tu sei riuscito a frequentare anche quella decerebrata di Maria Grazia, per un po'!”
Sì, non me ne parlare.”
Ecco, adesso lei sta con Marco e si sono effettivamente trovati, intendiamoci non escludo che possa accadere anche questo: lui è silenzioso, quindi quando parla sembra che abbia qualcosa da dire, che sia un ragazzo riflessivo. Invece è un idiota, per lei è perfetto: l'altra metà della mela. Ma di solito le coppie si formano per esclusione. Veronica, per esempio, adesso farà delle valutazioni. Questo non mi piace, quello è brutto, quell'altro è noioso. Questo qui è impegnato, peccato perché non mi dispiaceva. La vedi, lì che parla con Annalisa, come ride e sembra divertirsi? Non si sta divertendo per un cazzo, questa è la verità. Sta solo mandando in giro segnali, sta dicendo ehi guardatemi sono una ragazza divertente e positiva (e anche figa). Figa lo dice con i vestiti perfetti e un taglio nuovo da centomila lire e tre ore minimo oggi dal parrucchiere. Peccato che gioca in un'arena piccola, dove sarà difficile trovare l'altra metà della mela. Troverà quello che passa il convento, cioè uno a caso tra quelli liberi e decenti, e si accontenterà, credendo di avere scelto lei. È nel posto sbagliato nel momento sbagliato, oltretutto”.
Gli domandai il perché.
Chi c'è in questo momento, qui, libero e attraente? Io. Sono il 'Veronico' di turno, anch'io mando segnali in giro mentre parlo con te”, mi disse.
Sono indiscutibilmente un bel ragazzo, sono single e non c'è ancora stato niente tra me e lei. Ora la raggiungerò e le dirò un paio di frasi che la faranno sentire donna. Cederà, vedrai. Solo, se un giorno viene a dirmi che si è innamorata, le spacco la faccia”.»
Mi alzo, aggiusto il microfono gracchiante dandogli una botta. «Bene, potete credermi, funzionò, e durò anche per qualche tempo. Poi Elio decise di partire per l'Africa e Veronica si mise con il barista di quello stesso locale, che si era appena lasciato con una delle cameriere. Ma sto divagando. Il libro di Elio che vi sto presentando si chiama Scusate ma andavo di fretta. L'ha terminato il giorno prima di suicidarsi, non aveva un titolo. Al posto dell'ultimo capitolo ha scritto questa frase.

Qui doveva esserci l'ultimo capitolo ma non c'è. Perché tutte le altre cose che dovevo fare da queste parti le avevo finite, e andavo di fretta.
Spero che voi lettori mi perdonerete.
Vostro,
Elio Gardi”»

martedì 13 novembre 2012

I mostri sacri




C'è questo tizio al bancone del bar che mi sta facendo due palle così. Intendiamoci, sono io che sbaglio atteggiamento, e lo so perfettamente. Se mi siedo al bancone del bar per bere un bicchiere di vino, mi metto in una situazione simile a quella di uno che va a lavorare al telefono azzurro, o rosa, o di qualche altro colore usato per i maschi adulti problematici che hanno appena scoperto che la moglie li tradisce o che a cinquant'anni gli è venuto il dubbio di essere diventati finocchi e non sanno come dirlo al figlio, o che sono senza lavoro. No, forse quelli che non hanno lavoro sono lo standard, oggi. In effetti la maggior parte delle persone che conosco non fanno un cazzo. Comunque questo individuo l'avevo già visto qualche volta, forse ci avevano pure presentati, sta di fatto che mi sta parlando come se fosse un mio vecchio amico. Avrà trent'anni o giù di lì, capelli corti, vestito in modo impeccabile, una camicia di marca scarpe e pantaloni alla moda. Forse è un po' troppo elegante per questo posto. Dice «Il mondo è una merda. Il mio mondo è una merda, credo. Non tutti i mondi sono una merda. Tu vivi nel tuo mondo, dove stai bene. Non sai neanche cosa vuol dire vivere nel mio, di mondo. Io me lo dico tutte le mattine allo specchio, quando mi alzo. Dico: Giorgio, il tuo mondo è una merda». Ora, a parte il fatto che è ubriaco come una spugna non strizzata, e come una spugna odora di lezzo, e che a me del suo mondo non me ne frega assolutamente nulla, ma lui del mio mondo che cazzo ne sa? Valuto l'ipotesi di tirargli un pugno nello stomaco. E l'oste a quel punto ha la pessima idea di dare un tocco di americanità al suo locale cambiando musica. Armeggia con l'impianto stereo, cambia qualche impostazione, fa partire un paio di larsen prendendosi insulti da mezzo locale. Poi attaccano le note di una famosa canzone blues, e l'atmosfera si rilassa. «Ah, il blues!» esclama il mio interlocutore con l'aria di chi soffre felice. L'aria blues, che coinvolge chi sta male, ti prende il cuore e lo porta con sé in cerca di un luogo paradisiaco in cui la sofferenza nobilita e diventa valore, diventa un percorso ascetico, eleva alla massima potenza il tuo dolore che diventa creatività, pathos. Un ragazzo con la barba si avvicina a Giorgio, gli mette una mano sulla spalla, lo fissa con solennità e annuisce, stringendo la spalla in una morsa. Giorgio si lamenta «Ahi, fai male». L'altro continua ad annuire. Dice «È il blues».
«Ah, sì. Il blues», risponde Giorgio, e annuisce anche lui. «Senti, la sofferenza. Geniale», continua.
Tutto il locale è, come un coro, sospeso in una trance uditiva, le note dolci e strazianti entrano nei corpi delle persone e li permeano, non escono più. Se ci fosse abbastanza gente ad assorbire ogni nota probabilmente ci sarebbe un silenzio perfetto, in cui la musica entrerebbe direttamente in ognuno dei presenti non restando più nell'aria. Una sincronia di anime rapite dalla magia del blues. È il momento perfetto per svicolare dallo scocciatore. Però voglio lasciare un'impronta personale, prima. Voglio essere antipatico.
«Il blues è una merda»
Silenzio. Si ferma tutto, anche il tempo. Tutti si voltano verso di me, la musica si blocca, qualcuno si strozza con una polpetta vegetariana.
L'amico barbuto di Giorgio mi fissa terrorizzato. Non riesce a elaborare il concetto, la mia frase lo ha completamente destabilizzato, si gira verso di me mentre il suo io, sgomento, balla un fandango su un filo sospeso tra l'odio e la follia. «Non ho capito, scusa»
«Ho detto che il blues è una merda. Fa cagare. È una musica pacco. Fa schifo. È morto, sono cinquant'anni che non dice più niente -e per fortuna- solo che non ve ne siete accorti. Le sue dodici misure hanno rotto i coglioni e i suoi assoli di sta minchia ancora di più. Sono stato più chiaro adesso?»
È cianotico, poi si riprende, respira, si prepara al contrattacco. «Lo sai che dal blues deriva tutta la musica moderna?», chiede, con un tono fin troppo pacato ed educato. Io voglio lo scontro, decido di chiudere il match subito, alla Mike Tyson. Dico «Sì? Può darsi. Anche noi umani discendiamo dalle scimmie, dicono. Tu scopi con le scimmie? Ti piacciono? A me le scimmie non piacciono. Se tu lo metti in figa a una bertuccia e ascolti il blues sei libero di farlo. Io non lo faccio».
A questo punto siamo la principale attrazione del locale. Io sono il cattivo, volano pezzi di piadina e di hamburger e fischi indirizzati a me, il brusio, le facce stupite, qualcuno dice «È pazzo».
Ci sono cose che non puoi discutere, perché sono universalmente accettate e nessuno si pone più domande a riguardo. Sono

I mostri sacri.

Vado a fare pipì, giocando di anticipo, perché rassicuro i presenti che «Torno subito». Ovviamente in bagno, seduto con le gambe a penzoloni sulla cassetta dell'acqua di scarico, c'è quel rompipalle di Mister Flinn.
«Questa volta l'hai fatta grossa, questa volta sei fottuto. Ora, io non so se li hai guardati, sono tanti. E vogliono il tuo sangue. Credo che ti uccideranno»
«Allora faccio anche la cacca, già che ci sono», rispondo. «Sai che quando muori ti si rilascia lo sfintere, no? Quindi va bene morire ammazzato da un'orda di bluesofili ubriachi, ma almeno vorrei evitare di cagarmi addosso, da morto»
Mister Flinn si lancia verso la finestra, appendendosi a testa in giù alla maniglia «Non scherzare, sono serio. Ti ricordi quella volta che hai detto a quel tizio di Ciampino che la sua ragazza era migliorata molto, a letto, da quando stavano insieme?»
«Uhm, sì, ero ubriaco, io la sua ragazza manco la conoscevo»
«Bravo», risponde Mister Flinn, «e quello se non avesse avuto la gamba ingessata ti avrebbe spaccato la faccia»
«Ma che ci posso fare io se le persone non hanno il senso dell'umorismo? Comunque questi sono un branco di imbecilli, ora devo trovare una soluzione. Dai Mister Flinn, sparisci, che devo cagare e ragionare»
Quando torno nel salone, una piccola folla si è radunata attorno a un ragazzo entrato da poco, è molto triste e beve grappe come se non ci fosse un domani. C'è chi gli dà pacche sulle spalle, chi lo abbraccia, uno gli consiglia di non abbattersi troppo. Lui tra una grappa e l'altra bofonchia frasi come «Simona mi ucciderà, lo so»
Il barbuto mi si avvicina. «Che tristezza», esclama solennemente.
«Che gli è successo?»
«Ha messo incinta una ragazza, una relazione clandestina, sai. Ora deve dirlo a sua moglie, perché quella il bambino se lo vuole tenere»
«Mortacci!», commento.
Il barbuto mi spiega che certo lui disapprova, certi comportamenti non hanno giustificazione, poi la moglie, Simona, dovrei vederla mi dice è così una brava ragazza, pure uno schianto, e guarda lui cosa va a combinare. Che schifo. Però poveraccio, si sono sposati giovani, un momento di debolezza.
«E poi», continua «io glielo dicevo. Guarda che quella è vegana, non ti devi fidare. Prende la pillola, ma chissà cosa c'è dentro, alla pillola vegana. Lui mi diceva che le altre si disperdono nei fiumi e che poi i pesci diventano ermafroditi, e che questa funziona benissimo arriva dall'Australia è a base di olio di sesamo scuro e tofu e via dicendo. A me non ha mai convinto, e infatti trac! L'ha ingallata».
Annuisco mostrando empatia nel miglior modo possibile, anche se non me ne frega niente. «Vatti a fidare del tofu», commento. Riesco anche ad abbozzare un'aria riflessiva per un paio di secondi: il barbuto sembra essersi dimenticato della discussione precedente, infatti mi si sta rivolgendo in maniera amichevole. Che fortuna, quel coglione ha messo incinta l'amante nel momento giusto. «Bene», concludo. «Si è fatta una certa, e io a questo punto...»
No.
Si avvicina Giorgio, insieme a uno strano individuo. È nero, indossa una giacca viola sopra un maglione blu scuro e in testa porta una coppola. Ha i baffi imbiancati dall'età. La cosa particolare è che osservandolo molto bene si riesce a vedergli attraverso. E questo chi cazzo è?
Il barbuto mi spiega che le mie affermazioni non potevano essere ignorate, quindi devo prendermi le mie responsabilità. «Come il ragazzo al bancone ha infornato la pagnotta nel posto sbagliato, tu hai infangato il nome del blues, e ora te la vedrai con lui»
Il nero si rivela essere il fantasma di Muddy Waters, e mi spiega che nell'aldilà ha seguito un corso di italiano e che ora mi sfiderà in un duello con in palio la vita.
«A scacchi?», chiedo.
Fa cenno di no con la testa. «A “Indovina chi?”», sentenzia.
In pochi istanti siamo al tavolo, dove sono già disposte le due tavolette con le figurine. Pesco il mio personaggio, quello che Muddy dovrà indovinare. Che sfiga, ho preso Sam! Proprio uno pelato con gli occhiali mi doveva capitare! Muddy pesca a sua volta e mi guarda negli occhi con l'aria di chi ha già vinto. Tocca a me iniziare.
«Senti Muddy spiegami bene come sono le regole, cosa succede a chi vince e a chi perde. Ha i capelli bianchi?»
Muddy si gratta un baffo. «Allora, se vinco io tu muori e io ritorno in vita al tuo posto. No, non ha i capelli bianchi. Il tuo ha la bocca larga?»
Minchia, meno male che non mi ha chiesto se ha gli occhiali o se è pelato. Elimino dalla mia tavoletta le figurine con i capelli bianchi. Clak clak clak.
«No, non ha la bocca larga. Il tuo ha la barba? E se invece vinco io che succede?»
Muddy tira un pugno che fa tremare il tavolo «You shook me, boy!» esclama. «Sì, ha la barba, maledizione. Beh, se vinci tu allora resti in vita, io resto un fantasma, e potrai cancellare dalla memoria dell'umanità tutto il blues, come se non fosse mai esistito. È pelato il tuo?»
Cazzo ha beccato la pelata! «Sì, è pelato. Adesso aspetta che mi devo concentrare. Comunque, Muddy, mi sembra che con queste regole tu stia cercando di incularmi, in qualche modo. C'è qualcosa che non mi torna».
Muddy emette una grassa risata, soddisfatto, e abbassa un sacco di figurine, troppe. La posta in palio è enorme, in pratica sto rischiando di sacrificare la mia vita per liberare il mondo dal blues per sempre. Comunque, che mi piaccia o no, non credo di avere molta scelta. Improvvisamente l'impianto stereo del locale inizia a sparare a un volume allucinante un pezzo di Gigi D'Agostino, creando non poco scompiglio. Un ragazzo con i capelli lunghi scoppia in lacrime, qualcuno dice «No, la dance anni novanta no, vi prego!» Il fantasma di Muddy perde consistenza e diventa quasi del tutto trasparente, incapace di muoversi. Giorgio grida «Fermate questo scempio!», il ragazzo al bancone beve un triplo gin in un sorso e lo vomita in faccia al barista con un getto che ricorda il film “L'esorcista”.
Seduto sul tavolino, di fronte a me, compare Mister Flinn che approfitta della confusione per mettermi all'erta del pericolo incombente.
«Ti stanno fregando», mi dice. «È una trappola, come il referendum per abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Se vinci cancellerai il blues, ma nel giro di pochi mesi qualcuno lo inventerà di nuovo: devi fuggire»
«E come faccio?»
«Ci ho già pensato io. Guarda», mi dice Mister Flinn girandosi verso l'ingresso del locale, dal quale dopo tre secondi entra una ragazza armata di una mazza da hockey. Simona!
«Tu sei finiiiitooooo!» grida, prima di lanciarsi conto il marito per prenderlo a mazzate. Si scatena una rissa, volano tavoli e sedie. Il barista, fradicio del gin vomitato dal ragazzo fedifrago, cerca inutilmente di placare gli animi gridando «Non voglio noie nel mio locale!» In tutta risposta gli arriva una bottiglia di Prunella Ballor in mezzo agli occhi.
Riesco ad approfittare dell'enorme confusione e a darmela a gambe. Fuori piove, cammino per qualche minuto lungo le vie del centro città. Il folletto è di fianco a me con un minuscolo ombrello.
«Questa volta mi hai aiutato, grazie Mister Flinn. Hai telefonato tu a Simona, vero? E la canzone di Gigi D'Agostino, prima... sei un genio»
«Uhm no, io non ho fatto proprio niente. Sapevo solo che sarebbe successo. Ah, devo confessarti una cosa. Il blues non l'avrebbe inventato più nessuno: se vincevi vincevi e basta. E poi potevo barare e dirtelo, che la figurina pescata da Muddy Waters era David. L'avevo visto»
«E perché non l'hai fatto?»
«E perché avrei dovuto? A me il blues piace»

martedì 23 ottobre 2012

Fuori sede


Le quattro e diciotto del mattino. Dormo, o meglio cerco di dormire. Dormivo. Forse ci sono riuscito per cinque minuti, la luce della luna che filtra dalle finestre non è cambiata dall'ultima volta che ho aperto gli occhi. Illumina ancora quel poster di Shark 3D appeso alla parete. Ma come cazzo si fa ad appendere un poster di Shark 3D in camera? Domande, sempre domande nella vita, risposte poche. C'è Mike Bongiorno che mi chiede: «Signor Zini, qual è l'ingrediente principale del tabuleh? Ha trenta secondi, e secondo me zero speranze. Si ricordi che in palio ci sono duecentodieci milioni, e quella biondina di scienze politiche».
«Scusi, signor Mike, quella che è sempre in biblioteca con quel tizio sfigatissimo che ha sempre la maglietta con scritto FIAT?»
«Signor Zini, per favore si concentri, il tempo passa»
Click, clock, click, clock, un ticchettio insopportabile. Ma che minchia è il tabuleh?
«Voglio l'aiuto da casa», dico, aggrappandomi ai quiz moderni.
«Signor Zini, siamo a Superflash e Gerry Scotti ha ventisei anni. Non dica idiozie, per favore»
Click. Clock.
Poi mi ricordo che negli anni ottanta i trucchi ai quiz erano più infantili di oggi, mi guardo intorno, bingo! Un bigliettino. C'è scritto Burghul, dev'essere il nome di un gruppo metal scandinavo. Boh, io ci provo. Click clock click. Grido «Buurghuuulll!»
Mi arriva un cuscino in faccia. «Ma cristo Zini ma sei scemo? Domani ho pure un esame cazzo, ma perché non vai a dormire nella vasca da bagno!»
E questo chi cazzo è? Mi riprendo, l'orologio da parete dell'ikea continua con il suo insopportabile click clock click. Le lenzuola e le coperte sono cadute dal mio orribile letto microscopico. Il lanciatore di cuscini non è Mike, è Agostino, il mio compagno di stanza. Mi manda a farmi fottere ancora un paio di volte, bestemmia e si gira dall'altra parte per dormire. Non è colpa mia se l'unica stanza libera quando sono arrivato era una doppia. Non sono un concorrente di quiz milionari, sono solo uno studente. Anzi, uno studente

FUORI SEDE

Siamo in quattro, in casa. Quando mi sveglio sono usciti tutti tranne Tiziana, la incontro in cucina. È in piedi con in mano una tazza di caffè, indossa un pigiama con disegnate delle foche. Seduta al tavolo davanti a un computer portatile c'è una sua amica. Tiziana mi chiede se voglio del caffè, l'amica non si volta nemmeno per presentarsi, sembra infastidita dal mio arrivo, come se le avessi tolto l'attenzione del pubblico. «Pam, chiedilo a lui, che ci capisce di computer», dice. Ecco, ci siamo. Mi preparo psicologicamente. Pam mi guarda come se fossi un alieno. Forse perché indosso solo dei boxer e una maglietta con scritto “Fanculo a tutti”, macchiata di pomodoro. Complessivamente non devo avere un bell'aspetto. Vabbè, cazzi suoi, penso.
«Ecco, c'era questo appello su facebook. Tu sarai uno di quelli a cui di queste cose non gliene frega niente, penso. Bè, comunque non ti sto chiedendo di essere d'accordo con me, ti dimostro che è vero. Leggi, và»
Simpatica come una gastroscopia. Leggo, và.

Pam Pimpa ha condiviso un link
AIUTATECI A SALVARE JULIAN!
Julian è un bambino di soli due anni del Nebraska. È nato con una malformazione congenita, infatti ha il pene al posto del pollice della mano sinistra e il pollice in mezzo alle gambe. Questo crea delle conseguenze a livello interno perché ogni volta che si succhia il dito si piscia in bocca. L'associazione per la lotta contro le malattie genetiche offre un centesimo di euro per ogni condivisione di questo messaggio. Non essere indifferente, fai in modo che Julian torni a sorridere. Servono dodici milioni di condivisioni per raggiungere i fondi necessari per l'operazione! Invia questo messaggio a tutti quelli che conosci. Certe persone cercano di impedirci di salvarlo usando ogni mezzo, tu combatti insieme a noi per il piccolo Julian!

«È una cosa commovente», commento. «Ma il problema qual è?»
Pam, lentamente, fa scorrere la sua pagina di facebook verso l'alto. Il suo post successivo è:

Pam Pimpa
Sono una troia succhiacazzi e mi piacciono spalmati con la maionese.

Dio mio. Mi guarda furibonda. Dice «Vedi? Lo hanno pure scritto sull'appello che certe persone stanno facendo di tutto per impedirci di salvare Julian. Questo insulto è un atto di terrorismo psicologico, sono entrati nel mio computer magari dall'America. Tu non lo sai, ma queste campagne sono importanti a livello internazionale»
E come no. Chiedo «ma perché non lo cancelli?»
Lei mi dice «La gente deve sapere»
Mi viene un dubbio, cerco di chiarire. «Deve sapere che stanno complottando contro di voi o che ti piace la maion...» Interviene Tiziana.
«Alex!»
Bene, mi sono divertito abbastanza. Domando se vive da sola. No, ha quattro coinquilini. Le chiedo se ha un gatto e come si chiama.
«Si chiama Justin, ma che c'entra?»
«E Justin è anche la tua password del computer, giusto?» Tiro un po' a indovinare ma Pam è un tale concentrato di prevedibilità e mancanza di ragionamento che sono fortunato.
«Sì, come fai a sap...»
La interrompo. «Forse, ma dico forse, a qualcuno che abita con te non sei molto simpatica. Perché non provi a cambiare la password? Magari la parola maionese seguita dal numero di caz...» Tiziana mi spinge fuori dalla cucina e mi ritiro in camera soddisfatto.

Due giorni dopo incontro Tiziana in università. Cammina da sola accarezzando rami e fiori di magnolie che invadono il porticato del cortile. Mi vede e sorride.
«Simpatica la tua amica», le dico.
«Alex, ci ho scopato, mica me la sposo. Comunque hai ragione è insopportabile. Infatti l'ho accannata subito. Ah, senti mi devi aiutare con Giovanni, non ce la faccio più»
«Ci prova ancora?»
«Ma non ne hai idea! Mi sta addosso in continuazione. E non si rende conto proprio. Sarà abituato ad averle tutte, è pure un bel pischello, ci sa fare, ok, ma a me il cazzo proprio non piace. Non so come farglielo capire»
Giovanni è il quarto coinquilino, quello dell'altra stanza singola oltre a quella di Tiziana. Gode della mia ammirazione totale perché ha superato la tragedia del povero Oreste. Per capire cos'è la tragedia del povero Oreste bisogna sapere che il nostro padrone di casa è un vero stronzo, un individuo ripugnante a cui la sorte ha dato in dote due case di proprietà al centro di Milano che lui affitta a poveri studenti fuori sede, vivendo come un parassita da una zia novantenne completamente rincoglionita che lui, per non farsi mancare niente, alleggerisce anche di mezza pensione facendo impressionanti creste sulla spesa.
A giugno se ne era andato dall'appartamento Mirko, un ingegnere di Benevento che aveva trovato lavoro in Francia. Subito era scattata la lotta tra me e Agostino per accaparrarsi la stanza singola.
«Io sono arrivato qui prima»
«Io ho comperato l'armadio pagandolo praticamente da solo»
«Cazzo vuol dire, io ho fatto riparare il televisore gratis che se era per voi l'avevamo già cambiato, e allora?»
A quel punto era intervenuta Tiziana. «Regà, e basta, decido io. Ve la giocate a birra e salsiccia, come in quel film con Bud Spencer e Terence Hill»
Tutti e due eravamo d'accordo. Avevamo programmato un evento con i fiocchi, previsto per la notte del solstizio d'estate. Gli amici della Gufa Productions avrebbero ripreso tutto con le telecamere e avrebbero in seguito realizzato un documentario sull'avvenimento. Agostino aveva insistito perché venisse invitato anche un mangiafuoco, io avevo autorizzato tutto tranne l'incantatore di serpenti. Mi fanno passare l'appetito, i serpenti.
Insomma, il giorno prima si era presentato il padrone di casa dicendo che la singola la avrebbe affittata lui a una persona di fiducia, anzi, aveva detto proprio così, «Ho numerosi candidati, gente seria, educata. Cercate di dare una pulita, evitate almeno di presentarvi subito per quelli che siete».
Era una dichiarazione di guerra. A quel punto l'unica arma a nostra disposizione per mettere in fuga i suoi candidati seri ed educati era

Il povero Oreste” - tragedia in due atti

Alex Zini è Alex.
Agostino De Nardi è Ago.
Tiziana Micheli è Tiziana.
Il candidato inquilino è Righetti il candidato. (a ogni rappresentazione il candidato cambia)

Atto primo.

Drin. Suona il campanello.
(Ago apre la porta, entra il candidato)
«Piacere, Agostino»
«Righetti»
«Venga, si accomodi. Vuole un caffè?»
Candidato (sedendosi al tavolo in cucina) «Gradisco molto, grazie. Fa un caldo!»
Ago «Eh sì. Dicono che sarà l'estate più calda degli ultimi anni»
Da una stanza vicina si sente suonare della musica. (Va bene qualsiasi cosa purché di un gruppo il cui cantante si sia suicidato)
Ago «ah» (sospira) «Venga, le mostro la casa»
Candidato «Grazie»
Giungono in bagno.
Ago «Questo è il bagno»
Candidato «Bello, spazioso. Ma il signor (omissis – il cognome del padrone di casa) disse che ci sono altri inquilini»
Ago «Sì, come ha visto però non sono in bagno»
(Tornano in cucina, dove arriva Alex)
Ago «Ciao Alex, lui è il candidato Righetti»
Alex (Si stringono la mano) «Lieto di conoscerla. Ago, mi versi un caffè?».
Candidato «Righetti»
Ago «Zucchero?»
Alex «Grazie, m'impingua. Stasera ho un ballo»

Atto secondo

Ago «Ma quindi bando alle ciancie, mostriamo al candidato la sua nuova stanza, la stanza del povero Oreste»
Candidato «Il povero Oreste?»
Alex «Già. Povero Oreste!»
(Raggiungono la stanza)
Ago «Terribile. Che disgrazia»
Alex (indicando un angolo della stanza) «Proprio là!»
Ago «Già, proprio là»
Candidato «Dove?»
Alex «Là»
(Osservano in silenzio per qualche secondo l'angolo indicato da Alex)
Alex «Ago, non noti anche tu una certa somiglianza tra il candidato Righetti e il povero Oreste?»
Ago «Non volevo dirlo, ma è impressionante»
Candidato «Non direte sul serio, spero»
(Arriva Tiziana, di colpo impallidisce fissando il candidato)
Ago (la guarda, poi indica il candidato Righetti) «Gli assomiglia, vero?»
Tiziana «Aaaaahhhh» (strilla, e scappa. Torna con una foto, piangendo)
«Era lui, lo guardi»
Il candidato Righetti nota qualche somiglianza con la foto (scelta da Tiziana, dopo averlo visto, tra un mucchio di un centinaio di ritratti precedentemente incorniciati, rappresentanti la più vasta varietà di fenotipi possibili, compreso un maori e una foto di Pippo Baudo da giovane).
«Curiosa somiglianza devo ammettere»
Ago «Povero Oreste»
Candidato (ora visibilmente preoccupato)«Ma cosa gli accadde?»
Alex «Una disgrazia»
Tiziana, singhiozzando «Pro- proprio là»
Ago «Sì, proprio là»
Alex (si avvicina con un maglione di lana odoroso di naftalina) «Candidato Righetti, le andrebbe di provare a indossarlo? Era il suo»
Ago «Sì, era il suo preferito»
Alex «Avanti, lo provi»
Il candidato Righetti scappa dalla casa correndo.
Festeggiamenti finali.

La tragedia del povero Oreste aveva funzionato alla perfezione con i primi sette candidati, poi era arrivato Giovanni che non era scappato. Aveva indossato il maglione ridendo e aveva detto «Aò regà, siete dei gran paraculi. Posso tenerlo, il maglione? Tanto al povero Oreste non gli serve più, no?»
Addio gara di birra e salsiccia.

Osservo Tiziana, graziosa nonostante i suoi tentativi di castigare la femminilità in abiti da ragazzo. Vorrei guadagnare tempo, distrarla dall'idea di liberarsi di Giovanni, sono convinto che le passerà. E che in fondo si diverte, anche se non lo vuole ammettere.
A un tratto arriva la biondina, quella del quiz di Mike Bongiorno. È impegnata a discutere con il solito tizio con la maglietta FIAT. Lui si volta e corre verso Tiziana salutandola con affetto. Non sapevo si conoscessero.
«E lei è Flaminia, mia sorella»
Sua sorella. Cazzo! Non ci avevo pensato.
E io resto lì a guardare, non del tutto consapevole di aver capito bene se in questo mondo a volte le impressioni sbagliate sono tali solo quando poi la realtà è anche peggiore della fantasia oppure, come sembra questa volta, no. E lei saluta Tiziana quasi per forza e poi è lì davanti a me che mi parla e gesticola e mi racconta cose mentre Tiziana e il fratello hanno già finito di comunicare da tempo e lui sposta il peso da un piede all'altro ma lei, la biondina, non se ne va, no. Resta lì e mi dice che sono quello che suona nei Radical Sick e che le piacerebbe venire a sentire le prove almeno una volta e questo è il suo numero di telefono, ci terrebbe tantissimo, oppure anche solo una sera a bere qualcosa. Li salutiamo. Mi viene un dubbio.
«Tiziana, tu che sai sempre tutto»
«Eh»
«Con cosa si prepara il tabuleh?»
«Con il burghul»
Lo sapevo. Ho vinto, adesso mi mancano solo i duecentodieci milioni. Ma non è che Mike me li vorrà dare in lire? 

martedì 16 ottobre 2012

Tiro libero


Dicono che è tutta questione di concentrazione.
Dicono che devi tenere un po' il culo all'infuori, e fare una C con l'avambraccio, il braccio e il polso. «Devi imparare a spezzare il polso, o non sarai mai un giocatore», diceva sempre il coach, non me lo sono dimenticato. Poi è una questione di spinta sulle gambe. E Il tempo, quello corre piuttosto veloce. Non è che puoi restare lì all'infinito a concentrarti, perchè lei lentamente brucia. Lui è lì, immobile a terra, con i suoi otto occhi allungati a file di due. Lo guardo, con una certa apprensione: ho scommesso ormai, quell'esame per cui sto studiando da un mese si deciderà qui. Patrizia continua a parlare e vorrei starla a sentire, non è male Patrizia, è carina e dice cose sensate, ma stasera io sono quello che ha il tiro libero da cui dipende la finale dell'NBA, sono da solo contro gli errori di traiettoria, sono potenzialmente un vincitore o un perdente e tutto è legato a un solo tiro.
Canestro, sigaretta nel tombino e domani passerò l'esame, altrimenti sono spacciato, il professore mi chiederà sicuramente le società. E io la parte sulle società non l'ho neanche letta. Testa di cazzo, potevo studiarla, ma se non rischio non sono contento.
La sigaretta continua a consumarsi, ormai ho le dita che scottano. Tra me e il tombino dagli otto occhi ci sono due metri, poco meno forse. Sto per tirare, prima di ustionarmi indice e medio. Patrizia dice che ha visto Antichrist di Lars Von Trier, poi mi racconta di un documentario sui pescatori Islandesi. In effetti parla troppo. Le dico «Scusa Patrì, due minuti». Se ne va leggermente offesa. Mi concentro di nuovo, ci siamo.
Le altre persone fuori dal pub fanno finta di niente ma io so che loro sanno. Alcuni domani saranno lì in aula a tremare con me, accomunati dai nostri livelli di preparazione parziali, credo che molti di loro stiano facendo finta di parlare per non far vedere che, in fondo, fanno il tifo. Tranne quello stronzo di Marco Forni, si intende, lui gli esami vorrebbe essere l'unico a passarli.
Mi abbasso, culo in fuori, arco a C con il braccio, mi do una leggera spinta, la sigaretta sta per staccarsi dalle mie dita per compiere l'arco rivelatore. Il tempo rallenta. Il pubblico in piedi, tutti trattengono il respiro. Il polso si spezza. Sbam! Il busto barcolla. Questo non era previsto. Non ci credo, una cazzo di pacca sulla spalla, proprio adesso? La sigaretta compie un arco improbabile e finisce a mezzo metro dal tombino. Il tempo riprende a girare, il pubblico si copre la faccia con le mani. Le urla di gioia muoiono in gola, non esploderanno mai. Ma chi cazzo è? Chi ha deciso di sacrificare proprio oggi la sua inutile esistenza in nome di una pacca su una spalla?
«Bella Francè! Anvedi oh so tre settimane che nun te fai vedè»
Federico, porcozzio. Mentalmente faccio un elenco degli strumenti più disumani visti al museo delle torture di San Gimignano. «Mortacci tua!», quasi grido. Non se ne cura. «Allora hai finito de studià? Peccato che hai l'esame, stasera ce sta una festa Erasmus da paura, al pigneto». Ho capito, per questa volta lo perdonerò.
«A Federì, mi sa che a sto giro l'esame non lo do. S'annamo a beve 'na sciocchezza?»